Il giorno dopo

Rosario Strazzullo

Nel mezzo del cammin di nostra vita

La transizione non è ancora finita.
Ripartirei ancora una volta da qui, dopo il voto del 21 aprile, non per una sorta di tributo alle cose già dette, ma perché da qui faranno bene a ripartire tutti coloro, Prodi ed il suo governo per primi, che intendono costruire qualcosa di positivo per il futuro di questo Paese. Su questo punto lo stesso Massimo D’Alema è stato estremamente esplicito.
In che maniera riorganizzare il sistema politico ? Quali le scelte istituzionali da fare ? E quali quelle economico sociali, alla luce degli impegni europei ? Come formare la nuova classe dirigente ? Ancora una volta, come si rimette insieme la Nazione ? Mi sembra il tema vero della transizione.

Riccardo Terzi

Alla ricerca dell’equilibrio perduto
Penso che si debba leggere il dato elettorale come un passaggio dentro la transizione, non ancora come un punto di arrivo. E’ vero, come dice D’Alema, che siamo tutti un po’ più sereni, che sono fugate alcune ombre inquietanti. Penso però che il sistema politico italiano non sia ancora assestato, non abbia ancora trovato un punto di equilibrio.
E’ una crisi lunga, che dà a una nuova classe dirigente un compito che è anch’esso di lungo periodo, strategico. Il compito di ricostruire un tessuto sociale per molti aspetti disgregato; di ricostruire un sistema politico funzionante.

Il voto del 21 aprile
E’ evidente l’estrema importanza di un risultato elettorale come quello del 21 aprile che offre alla sinistra, per la prima volta nella storia italiana, la possibilità concreta di svolgere una funzione di governo. Stiamo attenti però a non trarne conclusioni sbagliate, perché non c’è stato nel Paese uno spostamento a sinistra significativo da parte dell’elettorato.
Se facciamo un raffronto tra i dati elettorali del 94 e quelli di oggi, notiamo che gli spostamenti sono molto modesti ; se invece che con il sistema maggioritario avessimo votato con quello proporzionale avremmo parlato di sostanziale stabilità.
La novità, rispetto al 94, è tutta politica : mentre la destra non è riuscita a consolidare il proprio sistema di alleanze, c’è stata da parte del centrosinistra una gestione politica molto efficace. Massimo D’Alema ha costruito con tenacia un rapporto politico con il centro, ha costruito un sistema di alleanze molto largo. Questa è la novità. Gli equilibri sociali restano però più o meno gli stessi e restano ancora tutti presenti alcuni problemi molto complicati, a partire da quelli che emergono dal dato del Nord e dal voto alla Lega.

Le dimensioni elettorali della Lega
La questione Lega l’abbiamo già messa in evidenza. Abbiamo sostenuto, sostanzialmente, che la Lega non è un fenomeno superficiale, che ha delle radici profonde. E’ un fenomeno inquietante e pericoloso che oggi ha effettivamente aperto un problema di ricostruzione dell’identità e dell’unità nazionale.
Le dimensioni elettorali della Lega rappresentano un dato preoccupante, per molti aspetti non previsto. Esse sono la conseguenza non soltanto di una certa abilità politica e del notevole intuito di questo strano personaggio che è l’onorevole Bossi ma anche del fatto che essa ha delle basi reali, una propria precisa identità. Per questo può partecipare da sola alla competizione elettorale, perché andando da sola riconferma quegli elementi di identità. Va detto a questo proposito che è avvenuto un certo cambiamento nell’elettorato della Lega, che si indebolisce nei grandi centri, Milano e non solo, e si rafforza in quelli piccoli.

Rosario Strazzullo

Sottovalutazione e svolta separatista
Mi pare che per l’ennesima volta ci sia stata una sottovalutazione della capacità di aggregazione della Lega, puntualmente smentita dal voto. E che si rischi di commettere lo stesso errore rispetto agli accenti marcatamente separatistici con i quali Bossi sembra deciso a “spendere” il suo successo elettorale. La “variabile” Lega diventa insomma sempre meno facile da gestire.

Riccardo Terzi

La riforma federalista
Io credo che non si debba prendere sotto gamba l’iniziativa di Bossi. Il tema della secessione va affrontato con una certa nettezza. Occorre fermezza accompagnata da una strategia di riforme istituzionali che sia in grado di dare risposta ai problemi del Nord, o meglio, ai problemi dell’unità nazionale.
Ci chiedi come si rimette insieme una nazione. Abbiamo già ragionato su questo. Io sono convinto che si rimette insieme la nazione con una operazione di riforma che valorizzi tutti gli elementi di autonomia. Una riforma di tipo regionalista e federalista. Questa è la prima emergenza dopo il voto. I problemi delle diverse aeree del Paese si presentano come non facilmente componibili.

Vincenzo Moretti
Il punto è proprio questo. Quali risposte dare al Nord ? E quali al Sud ? E come tenere assieme le une alle altre?

Riccardo Terzi

Le domande del Nord e quelle del Sud
Nord e Sud sono entrambi attraversati da inquietudini e disagi profondi. Però le domande del Nord e quelle del Sud non sono le stesse, anche se ci sono alcuni elementi comuni.

La riforma della pubblica amministrazione
Un’operazione che valorizzi gli elementi di autonomia e un’operazione politica che punti a creare condizioni di efficienza nel funzionamento dello stato, della macchina della pubblica amministrazione possono essere certamente utili al Nord come al Sud. Sui problemi istituzionali io credo che bisogna partire da questi due punti : il federalismo e l’amministrazione.
L’agenda politica, rispetto alla fase antecedente al voto, va dunque riequilibrata: piuttosto che ripartire dalla disputa sul presidenzialismo e semipresidenzialismo partirei proprio dalla riforma federalista dello Stato e dalla riforma della pubblica amministrazione.

Rosario Strazzullo

Le novità
In presenza di un sistema politico che vive una fase ancora molto convulsa, complicata, di assestamento, quali sono a tuo avviso le novità principali?

Riccardo Terzi

Consolidare l’Ulivo
Forse la novità è l’Ulivo, che non è più soltanto una sommatoria di partiti e di partitini e comincia ad acquistare una sua autonoma forza di attrazione, una sua identità. Il fatto stesso che nel maggioritario abbia ottenuto un risultato più positivo della somma dei voti dei singoli partiti vuol dire qualche cosa.
Credo che si possa lavorare per dargli ancora maggiore visibilità. Anche se è chiaro che non è possibile pensare oggi ad un partito dell’Ulivo che superi le identità tradizionali, questo sarebbe quantomeno prematuro, sarebbe un errore immaginare che esso viva soltanto in campagna elettorale. Sta a noi consolidare, con iniziative ed elaborazioni, questa alleanza, farla diventare qualche cosa di più di un alleanza elettorale.

Biagio De Giovanni

Vittoria tecnica e vittoria politica
Innanzitutto una valutazione generale sul risultato del 21 aprile.
Il termine è riduttivo e non esprime tutto quello che è avvenuto, ma credo che si possa dire che si è trattato più di una vittoria tecnica che di una vittoria politica. Tutto sommato, quando Terzi prima sottolineava i meriti di chi ha saputo con efficacia organizzare il patto elettorale tra forze diverse diceva, mi pare, una cosa non lontanissima da questa.
E’ una vittoria che non ha risolto la transizione, che non assesta compiutamente il sistema politico: in questo senso è una vittoria in cui la dominante tecnica, cioè di accordo intelligente fra componenti prevale sulla dominante politica.
Ciò non significa ovviamente disconoscere l’importanza di tale vittoria. Oggi può finalmente riprendere una discussione, ed i tratti più affannosi del passaggio stanno alle nostre spalle. E poi c’è una esperienza di governo da “giocarsi” nel migliore dei modi.

Il consolidamento del maggioritario
La dimensione più politica di questa vittoria sta, forse, nel netto consolidamento del maggioritario.
Il fatto che alle 22 e 2 minuti del 21 di aprile già sapevamo che avrebbe governato Prodi e non abbiamo dovuto subire per un mese gli interventi di quaranta partiti, ognuno dei quali asseriva di aver vinto, mi pare rappresenti un salto di civiltà politica.

La questione Ulivo
Ho un’opinione in parte diversa da quella di Terzi, anche se certo problematica, sulla questione Ulivo. E credo che dobbiamo fare due tipi di riflessione.
Il polo non ha saputo gestire tecnicamente il maggioritario. Non ha fatto accordi di desistenza con Rauti, non ha operato tutti quegli accorgimenti che gli avrebbero dato quei 30-40 seggi in più che ci avrebbero consegnato un’Italia esattamente divisa in due.
La vittoria è più tecnica che politica proprio perché l’Ulivo, questa concentrazione di forze vincenti, è rimasto sostanzialmente una alleanza elettorale. E forse non poteva essere altrimenti dato che si è persa l’occasione, nei due anni che abbiamo alle spalle, di mutare qualche cosa di profondo ed essenziale nella forma dei partiti e nei rapporti tra nuove forze politiche. L’Ulivo nasce da un accordo tra PDS in quanto tale, Partito Popolare in quanto tale con l’aggiunta di forze eterogenee e a volte ambigue nel loro progetto finale. E ho l’impressione che la corazza dei partiti che formano l’Ulivo sia ormai molto difficile da scardinare. Bisogna dunque lavorare a modificarla, non a metterla fra parentesi.

Più che altro un’emergenza nazionale
Il mio forse è un ragionamento poco sintetico, troppo analitico, che sottovaluta le possibilità che l’Ulivo rappresenti una sintesi più forte dei diversi soggetti che lo compongono, ma ho l’impressione che si è messo insieme un fronte, con varie motivazioni, su un’emergenza nazionale. Ed è del tutto possibile che le forze che sono dentro l’Ulivo si troveranno su posizioni opposte al prossimo voto. Comunque, innovare l’alleanza dell’Ulivo non si potrà fare nelle stesse condizioni di oggi. Questo è sicuro. Difficilmente si ripresenterà la stessa emergenza.

Vincenzo Moretti

E il successo della Lega?

Biagio De Giovanni

La Lega
La Lega c’è. E non sta nei poli. Il che significa che la questione settentrionale, l’altra faccia della questione nazionale, è ormai un dato di fatto. Anche se non credo si debbano prendere troppo alla lettera le cose che dice Bossi, è indubbio che il problema c’è. E’ il problema della nazione, del tenersi insieme.

La questione settentrionale
La Lega interpreta la necessità profonda di riforme istituzionali. Per la prima volta in forma cosciente, accanto alla questione meridionale, compare nella storia d’Italia una questione settentrionale.
E personalmente ho l’impressione che oggi la spinta sulla parola federalismo può racchiudere in sé un rischio che in realtà non è casuale perchè il federalismo è nato in Italia in chiave secessionista ed ha in questo momento gli stessi caratteri.
Ma l’ho già detto prima e non intendo ritornare sul tema.
Affrontare la questione settentrionale emergente, la questione del nord-est, ha in sé una potenzialità diasporica esplosiva e rischia di diventare un modo per individuare gli elementi di spaccatura piuttosto che quelli di unità del Paese.
Che ciascuno si faccia i fatti suoi: sembra essere questo il messaggio prevalente. Esaltazione della produttività, degli elementi di benessere, rifiuto delle impalcature centralistiche burocratiche.

Rosario Strazzullo

Ma tutto questo non coglie anche un bisogno vero di autonomia?

Biagio De Giovanni

Articolare l’unità dello Stato
Nessun dubbio che vi debba essere una risposta in direzione delle autonomie. Continuo a preferire la parola decentramento per una ragione storico politica. Allo stato dei fatti l’Italia è uno Stato unitario, e uno Stato unitario non si federa, è già un’unità.
Il punto è vedere come articolare questa unità, quindi come decentrare, come distinguere. Si dice autonomia delle città. E ci sono elementi di verità, come annotavo già precedentemente, ma veramente pensiamo che si possa andare verso una frammentazione municipale dell’Italia?

Ripensare le autonomie
Insomma ci giochiamo questa partita sul serio o invece il nostro entusiasmo federalista dipende dalla presenza di Bassolino al Sud, Cacciari al Nord, non so chi altro da che altra parte? O pensiamo che le regioni così come sono possono rappresentare le forme del decentramento che vogliamo ?
Se dobbiamo ragionare fino in fondo e seriamente di autonomia occorre innanzitutto ripensare le autonomie e soprattutto ripensare come il “federalismo” non assuma una valenza esclusiva e diasporica.

Non basta dire solidale
A mio avviso non basta più la parola solidale aggiunta a federalismo. Non basta, perché occorre comprendere come l’irrompere della questione settentrionale non abbia intrinsecamente una valenza antimeridionale.
Come si tiene insieme l’Italia, con i suoi problemi ed il suo dualismo? È o non è questa la domanda alla quale dobbiamo rispondere? Come si tengono insieme Nord e Sud? Come fare in modo che le autonomie non finiscano con l’avere una carica eversiva?

Un presidenzialismo che completi il maggioritario
Ultimissima annotazione.
Rimango convinto che con il consolidamento del maggioritario, verso il quale non credo si possano nutrire dubbi, la questione presidenziale prima o dopo si ripropone. Non c’è maggioritario senza presidenzialismo. Per certi versi, esso è il completamento del maggioritario.

Riccardo Terzi

In Germania e in Inghilterra c’è un maggioritario senza presidenzialismo

Biagio De Giovanni

Questo è vero. Però tanto in Germania quanto in Inghilterra c’è comunque un maggioritario nel quale con molta nettezza è individuato il leader in cui la nazione si riconosce. Il punto è come fare per individuarli anche qui.

Vincenzo Moretti

Maiora premunt?
Tullio de Mauro ha scritto che da decenni in questo Paese “Maiora premunt”. C’è sempre una ragione, un pericolo o un motivo particolare per il quale non si possono affrontare le cose con un minimo di progetto, di programmazione.
La transizione non è finita anche per questa radicata incapacità di andare oltre il contingente, la tattica politica.
Avete detto che oggi ci sono le condizioni perchè si ricominci a discutere. Ma è proprio così? O ancora una volta maiora premunt?
La possibilità che si possa ricominciare a discutere è fondamentale per utilizzare al meglio la maggiore serenità della nuova stagione politica e per percorrere un buon tratto di questa strada chiamata transizione.

Nord e Sud divisi nei bisogni
Questione settentrionale e questione meridionale: come ricordava Terzi, propongono domande ugualmente pressanti ma per molti versi diverse. Si tratta allora di individuare elementi di unificazione innanzitutto sul terreno dei valori, dei principi fondativi. Poi si possono avere risposte diverse sul terreno dei programmi, dei contenuti, e anche degli interessi in campo.

Il disagio del Nord
Proviamo a guardare un po’ meglio a questo disagio del Settentrione, ad andare un po’ al di là degli aspetti di protesta più immediati.
Il passaggio spesso tumultuoso da una civiltà prevalentemente agricola ad un modello iperproduttivista quale quello che caratterizza, ad esempio, vaste aree del nord-est, ha prodotto mutamenti spesso profondi nelle culture, nei modelli delle preferenze, nell’organizzazione sociale, nella qualità della vita. Fenomeni “nuovi” come l’immigrazione e la caduta dei livelli di vivibilità si sono intrecciati con tassi di abbandono della scuola dell’obbligo tra i più elevati d’Italia, giornate e ritmi di lavoro lunghe e stressanti, l’esclusione di fatto dai lavori nella scuola e nella pubblica amministrazione. “Nuovi ricchi”, venuti su a prezzo di sacrifici e di duro lavoro, che si sentono continuamente minacciati da uno stato centralista e dissipatore di risorse.

E quello del Sud
Contemporaneamente, abbiamo un Mezzogiorno nel quale la mancanza di lavoro, in primo luogo quello industriale, e di sviluppo tecnologico, è il problema prioritario. Ed il mancato sviluppo del Sud diventa sempre più un peso insostenibile. Per il Sud e per il Nord.

Elementi di tipo nuovo

Se questa è la situazione, la discussione attorno alla questione settentrionale non può ridursi semplicemente allo sforzo di assecondare e di rincorrere le spinte che da quella parte provengono. Forse bisogna introdurre nella discussione elementi di tipo nuovo. Costruendo ad esempio una diversa cultura del lavoro, un diverso rapporto tra uomo e lavoro, tra tempo di lavoro e tempo di non lavoro. Meno lavoro, dove di lavoro c’è n’è molto; più lavoro dove c’è n’è poco. Ed una diversa idea di civiltà.

Le ragioni dell’impegno politico
Un’ultima considerazione. Abbiamo detto che il leader non basta, il leader da solo non serve. Come costruire una nuova classe dirigente?
Certamente, come affermava Terzi, attraverso la riforma della pubblica amministrazione ed il federalismo. Ma forse è altrettanto decisiva la definizione di un nuovo rapporto tra i cittadini e la politica. Albert Camus ha scritto che “Quando saremo tutti colpevoli, sarà la democrazia”. Ed Henry David Thoreau che il “destino di un Paese non dipende dalla scheda che si lascia cadere nell’urna elettorale ma dal tipo di uomo che ogni mattina si lascia cadere dalla camera da letto alla strada”.
La politica non è cosa che appartiene né soltanto al leader e neanche solamente ai partiti. Come fare in modo che si ritrovino le ragioni dell’impegno politico, della partecipazione alla politica? Come ricostruire soggetti nuovi, forme nuove di partecipazione?

Sparigliare le carte
Avverto insomma l’esigenza di sparigliare le carte, di introdurre fattori nuovi, di evitare rituali e continue rincorse all’emergenza.
A Sud ci vuole lavoro. A Nord ci vuole federalismo. Possono essere ridotte a questo la questione meridionale e quella settentrionale ? Ma se non parte una discussione vera sui caratteri, i contenuti, i programmi, quale federalismo e quale lavoro intendiamo costruire?

Rosario Strazzullo

Lo scarto
Personalmente vedo uno scarto tra il parlare di vittoria tecnica e la contemporanea constatazione di un importante assestamento della transizione italiana. E poi è proprio vero che il voto non ha prodotto spostamenti sociali e culturali?
Giampaolo Fabris ha ad esempio affermato che dietro al voto all’Ulivo si intravede uno spostamento di orientamenti ideali e culturali, dato che con esso si manifesta probabilmente il passaggio, nella società italiana, da valori tipici degli anni ottanta, individualistici, a valori che dovrebbero meglio rappresentare l’incontro tra sinistra e cattolicesimo democratico: solidarietà, rapporto tra individuo e società, maggiore attenzione al bene pubblico.

Ancora sull’agenda delle cose da fare
Infine. Ritornando all’agenda delle cose da fare.
Terzi ha indicato federalismo e pubblica amministrazione. De Giovanni si è chiesto, ripigliando queste idee, come teniamo insieme il paese, consapevoli che ciò significa anche tenere insieme un dualismo.
Io credo che nell’immediato la vera questione che avrà di fronte il governo sarà quella di dire una cosa chiara sulle scelte economiche e sociali per entrare nell’Europa monetaria.
Sarà su questo terreno a mio avviso che si potrà o non si potrà dare una risposta alla necessità di tenere insieme l’Italia.

Riccardo Terzi

Discutere si può, anzi si deve
È possibile riprendere una discussione in un clima più sereno, su questo non c’è dubbio.
Si tratta di vederne modi e tempi. Nel PDS credo che a questo punto una discussione anche di prospettiva e di strategia debba essere fatta, possa essere fatta, senza più l’assillo del risultato elettorale. Anche se molte delle cose di cui qui parliamo avranno bisogno comunque di tempi di maturazione.
Mi pare che concordiamo su un giudizio circa il risultato del voto: comincia a funzionare un sistema maggioritario.

Il centro
Anche il problema del centro a questo punto si definisce in maniera più precisa. Personalmente continuo a ritenere che sia importante avere una iniziativa verso il centro. E’ stata questa una delle chiavi del successo elettorale.
Il centro non esiste più come entità autonoma, ed in questo senso non sono molto preoccupato dei pericoli di ricostruzione del grande centro, nonostante le velleità che qualcuno può nutrire. Nei fatti il sistema politico si è avviato verso una trasformazione in senso bipolare. Questo processo fa sparire il centro come entità autonoma perchè ciascuno deve ragionare nell’ambito di tale bipolarizzazione.

Le alleanze
Dal punto di vista della iniziativa politica, della capacità di costruire alleanze, dato che siamo giunti fino a Dini, quindi fino a forze molto lontane dalla sinistra, non vedo come si possa fare di più.
E dobbiamo riconoscere che nonostante questo il Paese è diviso sostanzialmente in due.

Parlare alla destra
Credo che il problema che a questo punto abbiamo, se vogliamo consolidare il risultato, è decidere se vogliamo parlare alla destra. Non mi riferisco tanto alla destra politica, con la quale peraltro va portata avanti la ricerca di intese per un funzionamento del sistema bipolare. Mi riferisco agli elettori, ai cittadini che al Nord, Centro e Sud, con motivazioni diverse, hanno votato per la destra.
Sul mutamento di clima culturale io sarei un po’ più prudente. Probabilmente è vero che il Paese ha reagito con un certo fastidio a posizioni demagogiche, populistiche, a un eccesso di rissosità politica, però le ragioni di fondo che hanno portato al successo della destra due anni fa sono ancora tutte lì, non superate.
In questo senso parlare alla destra vuol dire affrontare alcuni concreti nodi sociali, chiarire una proposta di politica economica, chiarire lo stesso tema del federalismo. Se la destra è rappresentativa di istanze reali presenti nella società, in determinati ceti, essa non sarà sconfitta solo con una battaglia di tipo ideologico.

La società leghista
Dietro il voto della Lega c’è ad esempio una determinata realtà sociale, fatta in particolare di piccola impresa e di lavoro autonomo, verso la quale c’è un evidente deficit di iniziativa politica da parte della sinistra.
Non si tratta di rincorrere la Lega, ma di capire quale realtà sociale c’è dietro. E’ la questione settentrionale che va interpretata, analizzata nei suoi diversi aspetti, nelle domande che essa esprime.
E qui vedo come centrale il tema dell’impresa, sul quale la sinistra non ha ancora elaborato una propria iniziativa con caratteri innovativi, soprattutto per quanto riguarda la nuova configurazione del sistema di imprese.

La rivoluzione produttiva
A sinistra si continua a ragionare pensando alla FIAT, alle grandi fabbriche, mentre in realtà il mondo del lavoro si è modificato radicalmente. C’è stata una rivoluzione produttiva di cui non abbiamo preso atto.
Il voto alla Lega lo hanno dato non solo i piccoli imprenditori, ma anche i loro operai, perché hanno esattamente lo stesso problema: una sinistra che non parla dell loro condizione e che non gli dà delle prospettive.
Ciò detto credo che con la Lega dobbiamo cominciare a confrontarci con una certa nettezza, anche con durezza se è necessario. Il pericolo secessionista è infatti un pericolo reale, non una boutade di Bossi.

Demagogia leghista? No, grazie.
Bisogna avere una azione di contrasto forte. Anche per controbattere una serie di mistificazioni. Francamente questa idea di rappresentare la Padania come popolo oppresso non sta in piedi. Nè si può accettare che Bossi parli a nome di tutto il Nord. Lo dico da uomo del Nord. Bisogna reagire alle varie manovre demagogiche di Bossi. Contemporaneamente però vanno date delle risposte, sul piano economico-sociale, affrontando il tema dell’impresa e del lavoro autonomo, e sul piano istituzionale con una proposta seria di tipo federalista.

Una seria proposta federalista
Continuo a ritenere la formula “federalismo delle città” ambigua e sbagliata. Le città sono importanti, però non possiamo tornare a una visione municipalista. Vanno costruite delle grandi aggregazioni regionali o sovraregionali nell’ambito di un processo di riforma della macchina dello Stato.
Il governo Prodi dovrà su questo impegnarsi con una proposta seria, concreta e convincente di riforma istituzionale. Ed è necessario cominciare a fare subito alcune cose che possono essere fatte a costituzione vigente. E’ possibile avviare da subito un insieme di misure nel senso di una rottura dei vincoli centralistici, modificando radicalmente il sistema dei controlli, assicurando autonomia organizzativa alle regioni e agli enti locali, trasferendo risorse e competenze dal centro alla periferia, realizzando operazioni di delegificazione e di snellimento delle procedure. E soprattutto è possibile metter mano al compito davvero decisivo di una riforma della pubblica amministrazione.

La questione Ulivo
E vengo alla questione dell’Ulivo.
Forse il mio può essere un auspicio per un possibile futuro più che un’analisi fondata sui dati della realtà. Mi pare però di avvertire, nella coscienza della gente, e dei nostri stessi elettori, che l’Ulivo comincia a essere un elemento di identità, soprattutto per i giovani che per la prima volta quest’anno lo hanno votato. Non c’è solo la forza organizzata dei partiti dell coalizione, del PDS, del PPI, di altre forze, ma c’è un elemento di novità.
C’è una potenzialità su cui lavorare e sbaglieremmo a ricondurre il tutto dentro una logica tradizionale di partito. E’ una operazione lunga, perché ci sono identità di partito che restano vitali e non possono essere liquidate, ma c’è comunque la possibilità di un lavoro di tipo nuovo, aperto verso il futuro, per dare all’Ulivo una base politica, ideale, programmatica, per farlo vivere come soggetto politico nuovo nella società italiana. E a mio avviso sarebbe questo un approdo molto importante, il principio di una ricostruzione strategica che dobbiamo affrontare. Tutta la vicenda storica di questa fine di secolo ci costringe ad un ripensamento radicale, e a poco servono le identità politiche del passato, perché si tratta di mettere in campo un progetto di tipo nuovo. L’incontro di culture e di tradizioni politiche diverse è l’unico modo, l’unica via efficace per tentare di costruire le risposte adeguate e necessarie in questa fase di trasformazione. L’Ulivo può essere appunto il luogo per questa ricerca.

Un esecutivo di buon profilo
Per quanto riguarda infine il governo, ci troviamo senz’altro di fronte ad un esecutivo di buon profilo.
Sono meno tranquillo sulla sua capacità di innovazione. E il problema della innovazione è decisivo se vogliamo parlare alla parte del Paese che ha scelto la destra.
La destra due anni fa ha vinto perché si è presentata come forza di innovazione, di cambiamento, e se la nuova maggioranza non riesce ad esprimere su questo medesimo terreno una propria capacità di iniziativa rischia seriamente di perdere consensi. Non può bastare una linea di garanzia democratica, di serietà, di rigore, perché a questo punto le domande che sono aperte nel Paese hanno in sé un elemento di radicalità e richiedono quindi qualcosa di più di un “buongoverno”.

Bisogno di innovazione
Concordo sulla necessità che tale capacità di innovazione si manifesti anche sul terreno istituzionale, anche se mantengo una riserva di fondo sull’ipotesi presidenzialista.
Come insegnano i casi dell’Inghilterra e della Germania, se un sistema bipolare funziona, non c’è bisogno di presidenzialismo. E del resto, come dicevamo prima, due minuti dopo le dieci del 21 aprile sapevamo già che Prodi sarebbe stato il nuovo presidente del consiglio. Un cambiamento è già avvenuto, e comincia a funzionare. Il sistema presidenzialista rischia invece di introdurre delle forzature pericolose. Comunque anche su questo terreno si può discutere.

Politiche istituzionali
La questione più urgente a me sembra quella relativa al federalismo ed al sistema delle autonomie. Si può istituire una commissione bicamerale con un mandato di fare un lavoro di approfondimento ad ampio raggio, su tutti i temi di riforma costituzionale, per giungere finalmente a delle conclusioni unitarie.

E politiche sociali

Altrettanto importante è la capacità di innovazione sul terreno delle politiche sociali.
Abbiamo dei vincoli europei. E io sono per una linea che punti a un piena integrazione dell’Italia in Europa nonostante i prezzi anche sociali che ci saranno da pagare. Occorre però una capacità nuova di iniziativa e di riforma sul piano sociale. Limitarsi esclusivamente ad un discorso di austerità sarebbe un errore grave.

Biagio De Giovanni

Cercherò di essere breve. Anche perché molti temi non possiamo non lasciarli sullo sfondo.

Tornare a guardare ai fatti
Non credo molto alla questione dello spostamento negli orientamenti ideali e culturali del Paese. Può darsi che ci sia una mia diffidenza su questo tema, ma così come sulla questione dell’Ulivo potremo fare un confronto tra un po’ di mesi.
Per ora riconfermo che vedo in giro, dietro a parole come solidarietà, cattolici, troppo ideologismo e troppa poca attenzione ai blocchi sociali. I valori di una nazione non si spostano perchè c’è un po’ più di attenzione alla solidarietà. Trovo che sia rischioso attestarci su questo fronte. Forse più che alle ideologie dobbiamo cercare di tornare a guardare ai fatti. Ed i fatti dicono che il consenso della Lega viene da un preciso blocco sociale. L’Ulivo ha dentro di sé componenti estremamente differenziate, Forza Italia e Alleanza Nazionale sono in parte persino eterogenee, e non a caso hanno perso. E’ un discorso da tenere aperto, perchè complicato ed importante, però la mia impressione è questa.

L’Ulivo che non c’è
Sull’identità dell’Ulivo, nonostante mi interessi molto una riforma del PDS con un Ulivo forte, continuo a nutrire delle riserve.
In politica ci sono dei tempi. Ed una occasione si è sicuramente perduta. Anche qui, maiora premebant. Abbiamo scelto di mettere assieme tutto quello che si poteva. Abbiamo rovesciato la situazione politica. Ed ho sufficiente realismo per capire che questo è un fatto di grande importanza. Ma ho l’impressione che essendo stata l’operazione Ulivo sostanzialmente interna ai circuiti e alle forze già strutturate in partito è improbabile farne un soggetto a sé. A mio avviso l’Ulivo non c’è come sintesi “più avanzata” delle forze che lo compongono.

La riforma dei partiti
C’è per la verità un altro capitolo di enorme importanza ed è la riforma dei partiti. Cosa vogliamo, ad esempio, che il PDS diventi in questo sistema politico rinnovato? Che significa il tema posto da D’Alema di una riunificazione degli spezzoni della sinistra? Ma è un discorso da riprendere in un’altra occasione.

Un orizzonte strategico
Terza questone. Sento anche io che se non si riprende un filo, un orizzonte, un quadro generale strategico, in cui tutti i termini con i quali ci troviamo a confrontare si riannodano, si rischia una mera gestione dello stato delle cose che può anche avere effetti laceranti. Se non troviamo una via per tenere insieme problemi che oggi come oggi stanno tra di loro in contraddizione radicale, ci possiamo trovare in breve tempo in una situazione di ingovernabilità sociale del paese.
Non so se voi che avete più evidentemente il polso di questa realtà di quanto non l’abbia io, condividete o meno questa mia impressione.

Conservare non serve
Qualunque elemento di pura conservazione, per quanto forte, in questo momento è rischiosissimo, perché può portare all’acuirsi di tutte le contraddizioni. Quelle del Nord, con un ulteriore riaccorpamento e rafforzamento della Lega. Quelle del Sud, con elementi di disperazione, di ribellismo, di emarginazione. Quelle delle forze politiche, perché in presenza di una illuminata conservazione la situazione italiana non è destinata ad un’evoluzione lineare. E purtroppo ho l’impressione che difficilmente questo governo, con i suoi equilibri difficili, possa dare molto di più di una tenuta illuminata. Se riesce a dare di più, vuol dire che l’Ulivo funziona ed allora sarebbe smentito il mio pessimismo.

Il ciclo economico
La possibilità di elementi di conservatorismo istituzionale e politico ci sono tutti. Così come la estrema difficoltà della gestione della congiuntura economico-sociale.
Ci troviamo in presenza di una caduta del ciclo alto in tutta Europa, di un abbassamento del ciclo molto forte e di una ripresa della lira con le conseguenze positive ma anche negative che questo, come sappiamo, comporta.
Inflazione, elementi di diaspora nella gestione del dualismo, urgenza dei problemi monetari: ormai il treno è partito.

L’ingresso nell’Unione monetaria
La posizione che ha assunto Kohl rispetto al deficit del proprio paese rende evidente che il rinvio dell’unione monetaria è in realtà improponibile.
E’ il tema che sta occupando banche centrali e governi: far parte della moneta unica o restare solamente nel mercato unico. Sapendo che in quest’ultimo caso si resterà una forza di seconda classe, con dei vincoli assolutamente ineludibili.
Per i prossimi due o tre anni, al di là dei valori, sono questi i temi sui quali si intrecceranno risposte di sistema politico, sistema istituzionale e così via.
La sinistra non può limitarsi ad una difesa conservativa dello stato sociale in quanto tale, anche perché le politiche anti deficit non sono più soltanto frutto di vincoli esterni, ma sono dati dalla situazione dei vari paesi, che hanno tutto l’interesse ad evitare di scivolare in una dimensione localistica e tendenzialmente marginale.
Mi fermerei qui , nel senso che vedo questa straordinaria serie incompiuta di temi, di prospettive dentro le quali dovremmo misurare ideazioni e capacità di governo. Bisogna provare, come diceva Moretti, a sparigliare le carte.
Se rimaniamo fermi, se inseguiamo le diverse spinte finiamo in realtà con l’appoggiarci sulle cose così come stanno credendo magari di poter dare a ciascuno qualcosa.

Ripensare strategicamente la questione italiana
Il problema è invece come ripensare strategicamente la questione italiana, tenendo assieme vincoli, necessità, problemi, potenzialità. Perfino quelle del Mezzogiorno. Ed in questo quadro ci sono più mosse possibili di quanto una analisi apparente non mostri.

Rosario Strazzullo

Tagliare sì, tagliare no, ma poi cosa taglio
In Germania i sindacati, l’SPD, dicono no ai tagli di Kohl, e si va dunque ad uno scontro nel paese decisivo dell’Europa, con la sinistra sulla difensiva attorno allo slogan “no ai tagli” e con Kohl che afferma che per stare dentro l’Europa monetaria bisogna tagliare.
Personalmente ho il timore che anche in Italia il centrosinistra avrà ben poca possibilità di scelta e di innovazione. Mi sembra il tema che nell’immediato ha di fronte l’Ulivo. E, a differenza di Kohl, sullo stato sociale possiamo tagliare ancora ben poco. E forse anche ciò che De Giovanni chiamava capacità di riannodare tutti i fili passa per un chiaro segnale su questo punto. Secondo Massimo Riva questo è il punto per il quale si sfonda anche a Nord Est, tra quelli che sono o comunque si sentono nell’area del marco e pensano di potercela fare purché si liberino del Sud.

Vincenzo Moretti

Tecnologie e lavoro
Vorrei tornare brevemente sulle questioni del lavoro, dello sviluppo. Terzi ricordava che la sinistra ha fatto del conflitto nella grande impresa, il cui emblema era la FIAT, un vero e proprio mito, mentre ha guardato molto poco alla piccola impresa e al lavoro autonomo.
Quando accennavo all’esigenza di introdurre elementi nuovi pensavo ad esempio a quanti affermano che nei prossimi anni le tecnologie renderanno superfluo un sacco di lavoro. Cosa sarà di coloro che avevano un lavoro e lo vedranno messo in discussione? E di quei giovani che si affacceranno per la prima volta sul mercato del lavoro?
Forse un modo utile per affrontare tali problemi consiste nell’incentivazione del lavoro autonomo, dell’autoimpiego, nella possibilità di rendere formali le mille cose che oggi sono informali. E nell’avere un atteggiamento un po’ più fiducioso nel futuro, nei nuovi lavori e nelle nuove possibilità che con la società dell’informazione si renderanno possibili. Ad esempio con il telelavoro. Sono in ogni caso temi sui quali c’è bisogno di molta innovazione.

Riccardo Terzi

Soltanto una brevissima considerazione. Le cose dette da Strazzullo e da Moretti individuano quali saranno nelle prossime settimane, nei prossimi mesi, i temi, i nodi sui quali la sinistra si dovrà misurare, e il governo dovrà fare i conti.

Una politica per la Nazione
C’è bisogno di una politica nazionale, perché non può esserci un governo che dà il contentino al Nord Est e poi fa un po’ di assistenza al Sud. Ci deve essere una politica nazionale, una politica economica, una politica del lavoro, per affrontare al meglio i passaggi ardui dell’integrazione europea.
C’è bisogno di un iniziativa che ridia il senso di uno sviluppo dinamico del sistema sociale e del sistema economico. Questo richiede molta capacità di innovazione anche da parte nostra per quanto riguarda le politica del lavoro, il mercato del lavoro, il sistema formativo, le politiche di impresa, con particolare riguardo alla piccola impresa. E tutto questo vale per il Nord e per il Sud. Dentro una visione tradizionale rischiamo di trovarci abbastanza presto di fronte ad un impatto violento. Questo può essere scongiurato se si gettano le basi per una nuova strategia di sviluppo che superi gli elementi di assistenzialismo, che faccia pagare anche dei prezzi ma dia una prospettiva sia al Nord che al Sud. Innanzitutto ai giovani.

Biagio De Giovanni

L’Europa non ha alternative a sè medesima
E’ vero. Ci sono problemi e malumori in tutti i paesi. Compresi Francia e Germania. E non è da escludere che i sindacati e le sinistre riescano in quei Paesi ad ottenere degli aggiustamenti. Ma che questo possa veramente spostare l’asse, la logica franco-tedesca nella quale è implicato il processo di unificazione europea, io non solo lo escludo ma spero che non sia così. L’Europa non ha alternative a sé medesima. I movimenti in atto li vedo molto strutturati. Nella stessa Francia dove c’è stato un mese di movimenti sociali i punti fondamentali comunque non sono stati messi in discussione. Lo stesso potrebbe accadere in Germania dove peraltro l’impatto è minore, non tocca ancora il cuore della società.
Da noi il problema è diverso perché in Italia già siamo all’osso. Per questo è necessario introdurre elementi forti.
Come dinamicizzare il sistema italiano?
E’ la grande questione che avremo di fronte. E sulla quale saremo impegnati.

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